Immigrati e Rom, tra accoglienza e discriminazioni – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
0 Comments
Featured Image

Immigrati e Rom, tra accoglienza e discriminazioni

13 Aprile 2011 – “I giovani tunisini vivevano già da molti anni nel dopo Ben Alì” così Pietro Marcenaro (PD), Presidente della Commissione Diritti Umani del Senato commenta la situazione in Tunisia, in occasione dell’incontro “Quale stato: Mediterraneo in fiamme fra profughi e rifugiati: quali responsabilità etiche, quali istituzionali”, organizzato venerdì scorso 8 aprile da Roberto Tricarico, assessore alla Casa per il Comune di Torino. I temi: immigrazione e accoglienza, la situazione dei rom in Italia e a Torino.

Senatore, qual è la situazione dei paesi del Magreb?

Esiste un movimento forte: in Libia le cose sono più complicate dai conflitti tribali, ma esiste una tendenza di questo tipo in Marocco, in Algeria, negli Emirati Arabi, in Siria. È un movimento da guardare con fiducia. Non si tratta semplicemente di conflitti interni all’ élite (c’è anche questo) ma di fenomeni che hanno alla base trasformazioni avvenute nella società, fenomeni demografici che presentano popolazioni in cui i giovani sono moltissimi, i processi di scolarizzazione molto più avanzati che nel passato, la condivisione di valori di vita progredita con una contestuale maturazione di domande di libertà. Noi siamo stati condizionati in questi anni a guardare all’islam, al mondo arabo e anche questa parte dell’Africa e del Medio oriente da un’ottica un po’ deformante, quella del terrorismo da un lato e del fondamentalismo dall’altro. Sono stati due due fenomeni concreti e importanti con i quali confrontarsi, ma non c’era solo questo. E mentre noi guardavamo con queste lenti, in quelle società capitavano altre cose.

Ma nessuno se ne è accorto?
Qualche settimana fa ho incontrato degli ex rappresentanti dell’opposizione tunisina, oggi membri del governo di transizione, alcuni di loro appartenenti ad una formazione politica abbastanza vicina alla nostra storia. Mi dicevano che neanche le élite tunisine avevano capito fino in fondo quello che stava avvenendo. Però mi hanno spiegato che i giovani tunisini vivevano da molti anni nel dopo Ben Alì: la loro vita, le loro abitudini, le loro forme di comunicazione, la loro esperienza erano già dentro un’altra dimensione. E ad un certo punto hanno deciso, si sono mossi e la cosa ha avuto questa dimensione istituzionale, ma in molte forme diverse. E questo riguarda in qualche modo tutti i paesi di quell’area.

Niente deriva fondamentalista allora?

Al contrario: i partiti islamici che esistevano (sia il partito islamico tunisino che la fratellanza musulmana egiziana) hanno un’ opzione moderata; hanno come modello quello turco di Erdogan, che è stato parte di un processo complicato ma di grande democratizzazione.

E l’Italia, quale è il suo ruolo in tutto questo?

Se la dinamica è questa, non vedo quale altra scelta abbiano l’Italia e l’Europa se non sostenere le forze che si muovono per la democrazia, senza esitazione, con coraggio, pensando che lì c’è finalmente una possibilità. Ma la possibilità non è di noi che esportiamo la democrazia, secondo la disastrosa e terribile illusione di Bush in Iraq, ma quella di sostenere forze reali, di una società che si muove in questa direzione, verso un modello nuovo di cooperazione.
Quanto poi alle diverse realtà presenti sul territorio torinese, Marcenaro ha sottolineato: “Per vedere diversità di soluzioni, consiglio via Germagnano: a pochi metri di distanza gli uni dagli altri, vedrete un campo dignitoso (non perfetto, perchè il modello del campo è discutibile), composto da piccoli edifici in muratura, ognuno con acqua corrente, elettricità, servizi igienici; con un punto di ritrovo, e dove sono responsabilizzate alcune mamme rom, che quindi non si sentono tagliate fuori e non vivono la scuola come un modo per sottrarre i bambini alla comunità e alla loro cultura. È un posto con mille problemi che però dimostra che si sono fatti passi avanti e se ne possono fare altri.
Attraversando la strada invece, a pochi metri, lungo le sponde della Stura, vedrete una situazione dove i bambini camminano tra cumuli di spazzatura. Una discarica a cielo aperto…”.
“Sulla questione rom c’è grande ignoranza” ha proseguito, raccontando di come lui stesso fino a qualche tempo fa, davanti a un campo rom distogliesse lo sguardo o considerasse questa realtà come una specie di fotogramma. “Invece per queste persone non è fotografia ma un lungo film, nel quale sono vissute intere generazioni, una dopo l’altra, che non hanno conosciuto altro nella loro vita che quelle discariche. Come si può pretendere che ci sia integrazione, regolarizzazione? I campi esistono solo in Italia. In Francia ci sono campi di transito, ma non come luoghi precari dove le persone vivono per anni. Questo nostro atteggiamento si basa sull’idea, errata, che siano nomadi, per cui si possano cacciare via e spostare: un alibi perfetto per non impegnarsi”.
Sulla questione rom è intervenuto anche Roberto Tricarico, che ha parlato di nuovi modelli di superamento dei campi, e di come la Prefettura di Torino stia lavorando da tempo in questo senso.

Assessore Tricarico, si è già sperimentato concretamente qualcosa di “diverso” sui nostri territori?
” Ci siamo resi conto di dover chiudere l’esperienza dei campi rom ed è possibile farlo. Penso al Comune di Settimo, ove il sindaco ha deciso di ospitare sul proprio territorio un gruppo di rom : sono stati coinvolti nell’auto recupero di un edificio abbandonato ed oggi c’è un’ esperienza presa a modello da tutta Italia”. L’iniziativa è guardata in modo benevolo anche dall’Europa che ha mandato diversi osservatori a verificare la qualità di questo progetto, tra l’altro meno costoso rispetto agli attuali campi.
Tricarico ha anche parlato di un obiettivo futuro, ovvero l’individuazione nella cintura di Torino di un’area che li possa ospitare: “La città non può sostenere la presenza di 1000 rom e i comuni della cintura invece non averne nessuno. I comuni insieme possono trovare gli spazi per una sistemazione adeguata “, considerato che oggi 480 circa sono in Lungo Stura Lazio, e molti vivono a ridosso del fiume, in condizioni miserevoli, in campi dove esiste una stratificazione sociale fra chi comanda e chi è schiavo, dove addirittura alcuni pagano la pigione ai capi del campo. “Il lavoro allora non è solo la pulizia dei campi, ma sostenere le persone a superare quella condizione di serio degrado”.

Rosita Ferrato

Pubblicato su Nuova Società il 13 Aprile 2011

Sorry, the comment form is closed at this time.

top