La mia vita a Tunisi – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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La mia vita a Tunisi

Sbeeh elkiir, bonjour, buongiorno.

Ormai la gente della medina mi conosce, mi saluta, mi fa sentire protetta. Varco il portone verde del mio palazzo e scendo in strada. La mia giornata a Tunisi inizia così.

La prima cosa che vedo sono babbucce a forma di portachiavi, babbucce vere e proprie, piatti dorati, anelli, collanine, fouta, gli asciugamani per il bagno turco. Esco direttamente nella medina, la città araba antica con le sue botteghe. Il cesellatore picchietta, il venditore d’oro che ripete le sue frasi, dahab, oro, vendo oro, e ogni persona che passa viene chiamata, tutti i commercianti qui d’altronde fanno così, Madame, mademoiselle, bonjour. Per i turisti. Ma io sono già qualcos’altro qui, la Bint el hama, la ragazza del quartiere sono stata definita, sono stata riconosciuta e accettata, e ne vado molto fiera.

È mattina presto, alcune botteghe ancora sono chiuse, in pochi minuti arrivo nella piazza della Vittoria, con la gloriosa Bab Bhar, la porta del mare, che segna l’ingresso alla medina e il confine con la città nuova, il cuore della città.

Piccole pattuglie di poliziotti sono lì fissi, è un punto nevralgico della città. Piccioni, caffè che si svegliano, la gente che va al lavoro, scolari che vanno a scuola. Negozi che aprono, la mattina l’energia di questa parte della città mi piace particolarmente.

Alla rotonda davanti a Bab Bhar sento altre voci familiari: Annaba Annaba, i taxisti che portano la gente in Algeria, il percorso inizia da qui, e ogni volta sogno di salire su quel taxi e partire. Ci vogliono poche ore e il visto, ma il richiamo è irresistibile e potrà essere la mia prossima avventura.

Sarf sarf sarf change, da un lato del corso ci sono quelli che cambiano i soldi. Se vedono una straniera si fanno riconoscere, ma sono contenta che a me non parlino più, quasi mi riconoscessero come qualcuno del posto. E per certi versi è così

In piazza c’è il caffè dell’hotel Vittoria. Mi piace a volte sedermi lì, è un caffè internazionale dunque niente di male se una donna sola sta lì a godersi la giornata, il sole, il passaggio, il rumore delle fontane e i sorrisi dei turisti (e che siano tunisini di altre città, giapponesi o algerini, donne o uomini, grandi e piccini, tutti si comportano allo stesso modo: si fanno fotografare davanti ai getti d’acqua, l’ho fatto anch’io).

Un vecchio signore con la gellaba sporca e una barba trascurata, ma dallo sguardo intenso dà da mangiare quasi ogni mattina ai piccioni, che poi volano in stormi, divertendo bambini e turisti.

Davanti al Magazin General alcuni giorni ci sono le donne che fanno i disegni con l’Hennè, aspettano sedute su uno sgabellino; sono assieme ai tanti ambulanti che intasano i marciapiedi. Vendono borse, calze, borselli, attrezzi per la cucina, scarpe da bambini, peluche, davvero di tutto. A volte vengono spazzati via dai poliziotti, ma tornano immancabilmente.

Mi aggiro il mattino in tutto questo. Vado a cercare il giornale. E il pane fresco. Vado fino alla Montre, all’orologio, in piazza 14 gennaio 2011, una piazza molto contesa. Prima si chiamava place d’Afrique poi ribattezzata “place du 7 novembre 1987” da Ben Alì con la data del suo colpo di stato.

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