Bikini e burkini – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Bikini e burkini

Hammamet, agosto. Gli alberghi sono pieni, la clientela è tendenzialmente araba: tanti gli algerini, che quest’anno sono arrivati in massa per salvare la stagione, e i tunisini abbienti. Spiagge bianche, alcuni tratti riservati ai clienti degli alberghi. Nei posti di lusso, in mare e nelle piscine, c’è di tutto: burkini, pezzi interi, bikini (pochi),  donne che si bagnano vestite. Come al Sinbad di Hammamet abbiano potuto vietare il burkini è un mistero: la clientela degli hotel di un certo livello, (a parte alcuni turisti russi, è ovunque prevalentemente araba. E gli arabi si coprono, al mare come altrove.

Monastir. Spiaggia popolare. Qui i bikini sono rari, se non inesistenti. «La gente non lo fa, le donne non si svestono», mi spiega il mio compagno di viaggio, tunisino. Perché? «Per una una questione di rispetto. Davanti ai propri fratelli, o al padre, una donna – soprattutto una giovane donna – come potrebbe andare in giro mezza nuda? Sarebbe una vergogna, potrebbe eccitare gli uomini». Ma i burkini, bagnati segnano il corpo, non lasciano nulla all’immaginazione, sono ancora più intriganti di un bikini, ma questa osservazione cade nel nulla. «Si chiama politesse, gentilezza. Per lo stesso motivo, noi uomini non indossiamo gli slip, se non da bambini; così, le donne non indossano il bikini».

Biserta. Hotel di categoria alta, piscina. Nessun bikini tra le donne adulte, se non il mio. Le spiagge per famiglie, qui, sono come le nostre negli anni ’70: molto semplici e tranquille, se non quando il numero di bimbi tocca una certa soglia. Sedie, ombrelloni e poco altro, una meraviglia. I divertimenti sono una palla e un canotto; c’è il venditore di bomboloni che arriva con la bicicletta sul bagnasciuga e il venditore di tè, che passa con teiera e foglie di menta.
Le donne sono quasi tutte vestite. Sono le nonne che si bagnano per tenere a bada i propri nipotini che giocano nel mare, ma anche le giovani, che spesso entrano in acqua coperte: pantaloni, maglia a maniche lunghe, velo. Altre, le ragazzine soprattutto, indossano il pezzo sopra del bikini e sotto i pantaloncini, di jeans o stoffa.
Un bambinello gioca con paletta e secchiello, poco lontano dallo sguardo dei genitori, che lo richiamano quasi subito.«Ija», vieni qua. Al piccolo, che giocava nudo al vento, vengono imposti una piccola jellaba chiara e un cappello. I bambini possono giocare in spiaggia nudi, questa è la norma, ma si vede che a questo bimbo di Biserta è andata male. Qualche bikini c’è, ma tutt’al più sono ragazzine o bambine. Sulle spiagge popolari, si ha l’impressione che che anche le turiste e le viaggiatrici non si arrischino. Tanto che pure io mi ritrovo, un po’ pudibonda, sotto l’ombrellone e tutta vestita.

Si è poco parlato di un’altra sorta di aggressione , quelloa che tratta direttamente l’abbigliamento femminile. Sotto la troika si era vista emergere una sorta di “Polizia dei costumi” (des moeurs), autoproclamata dai barbuti, vestiti all’afgana o alla saudita , che se la prendevano con le donne il cui abito non era consono alle loro norme, con i bar, con le prostitute, eccetera. Questo ha avuto delle conseguenze, e infatti il numero di donne che ha iniziato ad indossare il velo è aumentato in un modo non abituale. Poi queste orde sono sparite con la fine della troika. Ma ci sono alcuni che li hanno seguiti; altri si sono incaricati di questa sorta di polizia dei costumi.
[11 agosto, estratto del quotidiano La Presse- Tunisi, a firma di Abdelhamid Gmati]

Vero: alcune municipalità si comportano come guardiane della morale. Come la delegazione speciale di Tazarka che, a giugno scorso, ha affisso un cartello sulla spiaggia, che richiamava al rispetto dei buoni costumi: ai bagnanti è consigliato di evitare varie cose, tra cui una vaga “depravazione e la dissolutezza dei costumi”. Questo ha provocato stupore e collera nei bagnanti, ma la disposizione è rimasta tale. Su una spiaggia di Hammamet una signora, suo marito, sua figlia, e un’amica si sono allungati sulla sabbia gustandosi, tranquillamente, il piacere dell’estate. Arrivano due poliziotti, accompagnati da un terzo in abiti civili ma con una maglietta con su scritto “polizia delle spiagge”. Il trio si ferma, li guarda e il poliziotto in borghese dà l’ordine di perquisirli. Essendo i bagnanti in tenuta da mare (costume e bikini), frugano nei loro effetti personali. Alla ricerca di bombe o di armi? No, di alcol. Ovviamente non trovano niente. La signora ne ha concluso, visti gli sguardi corrucciati dei poliziotti, che erano i bikini a dar loro fastidio. In spiaggia si viene a sapere di una giovane studentessa di medicina che è rientrata a casa a Ennasr (un quartiere di Tunisi) a un’ora tarda della notte, dopo aver finito il suo turno all’ospedale in cui è impegnata in uno stage. Quando scende dal taxi, due poliziotti la abbordano e le domandano i documenti. La giovane acconsente a malincuore, spiegando loro che deve rientrare a riposarsi per riprendere il lavoro il mattino presto. Gli uomini le confiscano il cellulare e la portano al posto di polizia, minacciandola di avvisare suo padre perché venga a verificare di persona la tenuta di sua figlia. La giovane indossa degli shorts, e questo abbigliamento non era gradito ai poliziotti.

Questi episodi sono recenti. E sempre di più donne sono molestate per la loro tenuta. Per premunirsi, molte di esse si mettono il velo. Che però non ha niente a che fare con la religione musulmana. Il professor Mohamed Talbi, 94 anni, noto islamologo e docente universitario, ha affermato: «Niente, nel Corano, impone esplicitamente alle donne di coprirsi i capelli. Bisogna ricordarsi, insomma, che l’uso del velo data di molti secoli prima dell’Islam. E le prime apparizioni del velo avevano come scopo quello di coprire le prostitute agli occhi della popolazione, quindi di discriminarle. Le donne rispettabili non erano velate. Va ricordato anche che Mustapha Kemal Ataturk, presidente della Turchia dal 1923 al 1938, aveva fatto votare una legge importante, secondo cui tutte le donne turche hanno il diritto di vestirsi come desiderano, mentre le prostitute devono portare il burka. Da quel giorno in avanti, in Turchia, il velo non si è più visto. Il tema è importante e merita attenzione. Invito tutte le donne velate a sbarazzarsi del loro hijab, questo stendardo che le riduce a schiave sessuali. Mostrate che siete libere e che nessuno ha autorità sui vostri corpi».

La Tunisia è in guerra contro il terrorismo. Bisognerebbe anche includere quest’altra sorta di terrorismo, ancora più pericoloso perché instilla nelle menti di chi ne è esposto un veleno dagli effetti a lungo termine, potenzialmente mortale.

Rosita Ferrato

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