La moda per le torinesi – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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La moda per le torinesi

“Il manichino era troppo scandaloso”. Ecco l’inizio di una conversazione fra amiche, una sono io, l’altra una ex ragazza bella e bionda che non vedevo da tempo. Da anni vive a Parigi, e chissà perché quando torna nella sua città natale non riesce a fare a meno di sbandierare in ogni occasione che oltralpe è tutta un’altra cosa. Mi parla fitto fitto e sembra debba liberarsi di un peso sullo stomaco che la opprime da quando è tornata. In giro per vetrine in un bel pomeriggio di sole, siamo entrate in una sciccosa boutique del centro.

“Dicevano che era troppo poco vestito, la gonna troppo corta, la mise poco decorosa. Insomma troppo” continua lei che ora si dà un tono da “torinese pentita”. “E quindi un gruppo di signore ha chiesto alla commessa di toglierlo e di “vestirlo”. E quella l’ha fatto: ma ti rendi conto? A Parigi una cosa del genere non potrebbe mai succedere”.

Il monologo della “parigina” assume un tono polemico.

“Sai, io mi ispiro alla moda e alle tendenze delle francesi. Tutta un’altra roba. Loro vestono in modo originale, ma non è questo il punto: hanno un modo di indossare i capi molto più malizioso. Scoprono un pezzo qua un pezzo là, una minigonna, una spalla fuori, un accenno di scollatura. Mai volgari, giocano con le parole e con i pezzi di pelle che lasciano intravedere”.

Taccio, mi guardo intorno cercando scampo nel locale (gusto classico, parquet, pareti dipinte in stile provenzale: tutto di gran classe, molto sabaudo), o in qualche avventore, ma non trovo appigli, quindi mi rassegno ad ascoltare la filippica.

“Io sono cresciuta così – continua la parigina d’adozione – maman mi ha insegnato questa giusta malizia, mentre tante mie coetanee torinesi hanno un gusto troppo severo”. Un po’ come te, sembra sottintendere.

Poi tace un momento e traffica vistosamente con il suo zainetto firmato. Ne estrae un borsellino a forma di coccodrillo color rosso fuoco, e prosegue.

“Guarda – dice aprendo la zip sotto la pancia del piccolo peluche – me lo ha dato mia madre quando sono diventata donna; c’è dentro una giarrettiera, e ogni anno, per tutta la vita, me ne ha regalata una. Così siamo noi, ma qui è tutto diverso”

Ormai infastidita, cerco di replicare, ma lei impazza. “Le torinesi sono piene di contraddizioni.

Però devo ammettere – concede finalmente – sono anche molto curiose. Per dirtene una, adorano i negozi di pre collina, che in vetrina sfoggiano giacche vistose con bling bling e pellicce; però poi, chissà perchè, non le indossano. E che dire dei tacchi? Se cerchi un tacco 12 in tutta la città, fai fatica. Trovi soprattutto il famoso mezzo tacco. Una perfetta parigina (radical chic) tipo me, nella lista di capi che non vedrà mai nel suo armadio ha proprio il mezzo tacco. Il mio motto è: perché vivere a metà?”. Finite le concessioni.

“E non solo – la giovane madame è un fiume in piena, e non si cura neanche più di me, ormai sfinita – la sobrietà sabauda la vedi anche nei colori dei vestiti. Maglioni e cappotti, golfini, sono delle stesse tinte della città: grigio, grigio topo, grigio fumo sabaudo, nero. Troppo nero. Al massimo, per osare, vedi qualche cappotto cammello, un grande classico. Capirai!”

“Qui ci si autocensura persino sulle fogge – predica imperterrita – una conoscente di mia madre si è auto tarpata su una lunga piuma su un cappello che voleva mettere a un funerale. In realtà prima si è autocensurata sul colore (rosso: cosa penseranno i parenti della salma?), poi sulla piuma, e poi sul cappello tout court, che è finito in naftalina. Assieme agli altri vestiti dalle tinte un po’ vivaci. Che tristezza!”.

“Eppure c’è chi dice che queste signore sobrie – oso finalmente replicare, in difesa delle mie concittadine- una volta uscite dai confini della città, specialmente quando in direzione Milano, si trasformano. Allora tirano fuori sandali con i brillanti, quelli che hanno comprato di nascosto in pre collina (!), tacchi vertiginosi, ampie scollature…”

“Ma no, figurati!”, la torinese espatriata non è convinta, e mi zittisce definitivamente.

Prende fiato un istante e poi dà il colpo di grazia, sfoderando giudizi lapidari addirittura sugli intimi.

“Secondo me alcune qui portano ancora i mutandoni delle nonne, sai quelle tirate fuori dai bauli della dote (sghignazza divertita). Altro che sotto il vestito niente! la torinese, da quel che ricordo io, ha poca fantasia anche sotto le gonne. Cotone e cotonine, reggiseni medioevali, forme semplici e intimi demodè, calzini bucati e gambaletti. Altro che pizzo, guepierre, bustini come da noi a Parigi!”.

La torinese pentita è lapidaria: “Anche sotto il vestito, la donna sabauda è troppo seria. Come si veste sopra è anche sotto, quindi niente fantasie. Poveri mariti!”

“Ma tu che ne sai?” replico piccata.

“Lo so”.

Punto.

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