Bellissimi, sbruffoni: i toreri del Rejoneo, la corrida di Hemingway – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa

Bellissimi, sbruffoni: i toreri del Rejoneo, la corrida di Hemingway

“Come in tutte le arti il godimento cresce con la conoscenza dell’arte; ma la gente sa, la prima volta che vi si reca, se vi si reca con la mente aperta e prova soltanto le cose che prova davvero e non le cose che pensa dovrebbe provare, se si diverte o no alla corrida.”
Ernest Hemingway Morte nel pomeriggio*

PUERTO DE SANTA MARIA (CADICE), 12 agosto, ore 23- Famiglie intere, nonni con nipoti, signorine. Fanfare, l’applauso del pubblico. Lo spettacolo è esplosivo, forte, una tragedia in tre atti, in spagnolo los tres tercios de la lidia. È la fiesta, il rejoneo ovvero la corrida a cavallo, la versione più tradizionale di quella “classica”, a piedi. Il primo atto è la suerte de varas, o prova delle lance; il secondo è quello delle banderillas, bastoni di circa un metro piazzate nel fascio di muscoli in cima al collo del toro per farlo rallentare e regolarne la posizione della testa perchè il suo attacco sia “più lento ma più sicuro e meglio diretto”. Poi l’ultimo atto, e una tromba decreta il silenzio: è la lotta finale e l’inizio della morte del toro.

Olemando, 550 kg.: il nome del toro appare su un cartello, assieme a quello dell’allevatore. Il toro arriva correndo nell’arena, ed è silenzio. I toreri del Rejoneo sono a cavallo, come vuole la tradizione. Dominano il ritmo, la bestia, quella che montano con gambe e peso, il cavallo, e quella con cui lottano nella plaza, il toro. Cambiano spesso cavallo perché sia più fresco: il rapporto è sbilanciato due contro uno, con un esito scontato…

HEM: “Il toro da combattimento sta al toro domestico come il lupo sta al cane. Un toro domestico può essere irritabile e cattivo come un cane può essere traditore e pericoloso, ma non ha mai la velocità, la qualità di muscoli e tendini e la struttura peculiare del toro da combattimento più di quanto il cane abbia i muscoli del lupo e la sua astuzia e la sua capacità di mascella. I tori da arena sono animali selvaggi. Sono presi da una razza che discende direttamente dai tori selvaggi che erravano per la penisola, e vengono allevati in ranches di migliaia di acri in estensione dove vivono come animali erranti in libertà. I contatti con l’uomo dei tori che devono apparire nell’arena sono ridotti al minimo indispensabile. *ibidem

Due ore di spettacolo, e di spettacolo si tratta: c’è la banda, la musica, la folla entusiasta, la bellezza della plaza con la sua rena gialla ocra, l’eleganza dei matadores. Tre toreri, venti minuti ogni toro: 6 tori che muoiono dopo una vita da re, tre o quattro anni in cui sono allevati liberi e felici. Pochi minuti di violenza, perché pur di violenza si tratta… Il torero danza con il toro, gli parla, lo sfida, gli si avvicina; i più spericolati si sporgono da cavallo per prendergli le corna e volteggiano in aria per qualche secondo. Quando iniziano ad infilzarlo con le banderillas, la banda suona forte, il pubblico applaude: incita uomo e animale con pari entusiasmo. Il pubblico é feroce, il sangue sembra eccitarlo, ed è un’ eccitazione contagiosa, che sembra coinvolgere tutti. C’è la potenza della folla, una fiesta con musica alta, grida e odore di sangue. La gente a modo suo ama il toro, vuole che non soffra, che abbia una morte rapida, ma esige si batta con fierezza e coraggio (non deve forse essere così la vita di ognuno di noi?): ecco perché gli incoraggiamenti e il delirio non sono solo per i toreri, ma anche per la bestia, per chi ha già perso, ma con onore.

HEM: “Nella corrida ufficiale moderna , o corrida de toros di solito ci sono sei tori che vengono uccisi da tre uomini diversi. (…) Si chiamano matadores e si estrae a sorte quali dei sei tori tocchi a ciascuno. Ogni matador (o uccisore) ha una cuadrilla ( o squadra) di cinque o sei uomini pagati da lui e che lavorano ai suoi ordini. Tre di costoro lo aiutano a piedi con le cappe (…). Nessuno si chiama toreador in Spagna. È questa una parola antiquata con cui si designavano quei membri della nobiltà che prima delle corride professionistiche uccidevano per sport dei tori da cavallo. Chiunque combatta i tori per denaro, sia matador, banderillero o picador di chiama torero. Chi li uccide da cavallo con un giavellotto montando puri-sangue allenati si chiama rejoneador o cavallero en plaza. Un combattimento di tori in spagnolo si chiama corrida de toros o corsa di tori. Un’arena si chiama plaza de toros.*

Pablo Hermoso de Mendoza, Diego Ventura, Leonardo Hernandez: toreri come rockstar; fieri, sbruffoni, bellissimi, alteri come galli, perfetti. Giocano con il pubblico, flirtano, mostrano alla folla (in delirio), la mano sporca del sangue del toro. Ma quando il silenzio della morte è annunciato dalla tromba, l’atmosfera cambia, si fa tragica e seria, e nessuno nell’arena osa fiatare. Chi lo fa viene subito zittito dalla gente. Solo il cavaliere può parlare con il toro: “Mira torito, mira”: guarda me, guarda la spada, lo sfida, prima di infilzarlo.
Se la morte è rapida e il torero dimostra abilità, il pubblico chiede al presidente – un’autorità locale: nelle capitali di provincia è un sottodelegato del governo centrale, nelle plazas de toros di terza categoria (delle città di provincia) è l’ alcade (sindaco) della città che può anche delegare a un concejal (consigliere comunale) – un orecchio, o addirittura due ( e la coda in caso di torero bravissimo) e urla, in piedi, sventolando un fazzoletto bianco o i cuscini (bianchi anch’essi) fino a che il presidente non ha emesso il suo verdetto. Se l’orecchio del toro è quindi tagliato, il torero lo prende e lo lancia alla folla; fa un giro dell’arena, dove riceve dal pubblico fiori, giubbotti, cuscini, fazzoletti, che lui raccoglie, prende in mano e poi rilancia.

HEM:2Il solo luogo dove si potessero vedere vita e morte, vale a dire morte violenta ora che le guerre eran finite, era nell’arena dei tori”

Il Rejoneo è il mascolino e il femminino che danzano, lo spettacolo della morte mostrato ai bambini, il ricordarsi che esiste. La morte del toro, nei migliori dei casi, è veloce; quando la spada penetra piuttosto profondamente e nel punto giusto, la forza del toro si spegne. Ancora lotta, danza con la muleta, ma è già morto. Cade sulle zampe tozze, gli esce il sangue dalla bocca. È morto. La vita, la forza bruta, la potenza, in pochi minuti si trasformano in spavento, sbigottimento, lotta e poi tutto è finito.

“Tutto il fine della corrida era il colpo di spada finale, il vero e proprio incontro tra l’uomo e la belva, ciò che gli spagnoli chiamano il momento della verità, e ogni mossa del combattimento era intesa a preparare il toro a quella morte”

Il Rejoneo fa scoprire che nel petto dell’essere umano, come disse un amico citando Goethe, coesistono due cuori. Non so esattamente cosa dicano i cuori degli altri: i miei hanno provato contemporaneamente compassione per il toro, emozione per lo spettacolo, orrore per una tortura, ma era impossibile smettere di guardare. E di partecipare, applaudendo con gli altri: l’adrenalina, l’emozione della folla, la rabbia pura che si sfoga per qualche torto subito.
E la consapevolezza, infine, che a tutto questo ci si abitua in fretta: tanto da far chiedere in silenzio, il giorno dopo, ad una splendida, ma in confronto ovviamente più tranquilla, esibizione della Reale Escuela Andalusa dell’Arte Equestre di Jerez de la Frontera : ok, bello, ma … il toro quando arriva?

Rosita Ferrato

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