Eco Tunisi – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Eco Tunisi

Amo la Tunisia. La amo immensamente. E per questo soffro nel vederla maltrattata. La coscienza ecologica qui, almeno da quello che vedo nel mio quotidiano, è pari a zero.
Da maniaca che ricicla anche il più piccolo foglietto di carta, che non butta niente di inutile, che ama la natura, sono scoraggiata.

Punto uno: la plastica. Distese di verde, anche solo in città o nei sobborghi, sono disseminate da sacchetti in plastica. Qui c’è stata una legge nel 2017 che ha vietato di distribuire sacchetti non bio in supermercati e farmacie, ha messo al bando la produzione, importazione e commercializzazione e distribuzione di sacchetti di plastica non bio in tutto il paese. Da marzo 2020 sono proibiti i sacchetti con forte concentrazione di metalli pesanti e dal 2021 questo verrà esteso anche ai produttori.

Ma allora? Al banco dei formaggi di un grande centro commerciale, un pezzo di primo sale, già imballato, viene avvolto in altri due strati di plastica. Qualsiasi negoziante o mercataro ti dà la merce in sacchetti di plastica, a volte doppia; ci sono persone che sbarcano il lunario all’ingresso del mercato o in strada, vendendo grandi buste (e perchè non avere, come si faceva un tempo e come faccio io, una khoffa, il cesto tanto chic e ecolo?).
La sera, le strade della medina sono piene di sacchi che volano e inquinano. E alla fine della giornata, dopo aver fatto la spesa, anche solo una cosa, viene riempita di involucri.
Bene, anzi male, ma andiamo avanti. Cosa fare con tutta questa plastica, oltre ai sacchetti anche gli inevitabili contenitori del quotidiano (scatole varie, vaschette, bottiglie e chi più ne ha più mette?).

Io riciclo.
A Torino riciclo: a casa mia non ci sono i bidoni per plastica, carta e vetro quindi mi metto tutto in macchina o nello zaino se sono in bici e raggiungo faticosamente la prima isola ecologica vicino al mio quartiere. Riciclo tutto. Guai a lasciare un vasetto al suo destino indifferenziato, è una cosa che semplicemente non posso fare.
In Francia ho i raccoglitori vicino a casa, facile, veloce. Benissimo.
A Tunisi ci ho provato. Ogni giorno divido, differenzio, lavo persino gli imballaggi più puzzolenti. “Ma qua non si ricicla” mi dicono i vicini. “C’è una raccolta differenziata per le bottiglie di acqua in plastica, ma il resto si butta”. Oiboh! E quindi? In attesa di capire se in altri quartieri come la Marsa esistono dei cassonetti (ve lo dirò), lascio tutto a casa e spero in bene.

Altra cosa: le piante. Io sono come Idefix, il cagnetto di Asterix; quando mi toccano una pianta piango. Mi sento letteralmente male. È una vita che scompare, è come uccidere qualcuno che tra l’altro ti ha fatto solo del bene.
Oggi, guardando fuori dalla finestra, mi sono accorta che per fare spazio a una ristrutturazione di un edificio, cioè del cemento, hanno tagliato un pino enorme, antico. Era una macchia verde in una medina sempre più calda e sempre più bianca di case.
Mi chiedo: ma in tutta questa assurda situazione di panico perché non creare una coscienza ambientale, smettere di inquinare la terra e spogliarla ogni giorno delle sue ricchezze? Fa sempre più caldo e noi tagliamo sempre più alberi. E creiamo nuova plastica (e taccio sulle nuove norme imposte per questi tempi scriteriati).
Non solo nel mio piccolo mondo tra Europa e Africa. Succede a Torino, a Nizza, a Tunisi come purtroppo succede dappertutto.
Perche non approfittare di questo momento per sensibilizzare (e spaventare!) su temi come l’ecologia, il riscaldamento climatico, l’ambiente. È la nostra casa e la stiamo devastando. Questo, invece che altro, dovrebbe fare paura.

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