Porte de France – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Porte de France

La piazza centrale di Porte de France è un teatro vivente. Dai tavolini all’aperto del caffè dell’Hotel Victoria, in posizione strategica, si vede uno spaccato di mondo.
Qualche matto che passa, una donna che infuriata afferra e spacca il tergicristallo di una delle poche macchine costose parcheggiate, un’altra che urla, piange e si contorce su se stessa. Ogni giorno arriva un uomo sulla settantina, capelli bianchi, impeccabile, elegantissimo, che sia d’inverno con il burnus e un completo occidentale, giacca e cravatta, o d’estate, in tenuta più leggera, ma con l’immancabile fiore all’occhiello e chéchia sulla testa. Con il suo bastone da passeggio, sembra aspettare qualcuno. Cammina, giustamente orgoglioso, vicino alle fontane, guardandosi attorno, l’incedere calmo e deciso, la fierezza e la forza del proprio charme.
C’è un signore anziano, cieco, che vende gelsomini; la barba grigia, una gellaba stinta, arriva sorreggendosi e cercando il terreno, con una stampella, ha un cesto e un vassoio pieno di fiori.
C’è un ragazzo, due latte di incenso che fa oscillare al suo passaggio; è sempre sorridente, va nelle case, nei negozi, a benedire i luoghi, portandosi dietro una scia del forte profumo.
C’è il venditore di zarbout, di trottole, difficili da far ruotare: quando le si compra, la magia è rotta.
C’è un signore tunisino albino, barba e pelle chiarissimi.
Ci sono i turisti che si fanno la foto con lo sfondo dell’arco e delle fontane.
C’è un angolo, accanto all’arco, all’ombra, dove spesso si siede qualcuno. Un mendicante, un ragazzo con la chitarra, qualche giovane sfaccendato che fuma.
Ci sono gli autisti che vanno in Algeria; quando vedono un passante, gridano “Annaba!”, la destinazione. Alcuni con enormi valige salgono. Per me che avrei bisogno del visto, quella parola è magica: mi piacerebbe un giorno salire su quel taxi collettivo e raggiungere i confini. Annaba, Annaba, come un grido alla Lawrence d’Arabia.
La sera la piazza si trasforma: l’acqua delle fontane viene spenta e lo spazio occupato da ragazzini che giocano a calcio, usano la parete di una casa come porta e lo spazio di fronte come campo di gioco. Urlano, si divertono, si arrabbiano. Da lì passano cani e gatti, arrivano i venditori di uova, snack locali e bibite, spazzini che puliscono ciò che resta del mercato.

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