Il ritratto – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Il ritratto

Cd, pennelli, colori. matite, fotografie, schizzi, posaceneri: nel disordine bohemien tutto è arte, creatività, très chic. Lo studio di un pittore dev’essere così, non può essere niente di diverso.

Prima le foto (“Ti piace Blondie in questa immagine? Avevo pensato questo per te. E mi raccomando, niente timidezze!” ), poi ci si accomoda per una seduta di posa. Breve, neanche un’ora, giusto per dare all’artista il tempo di prendere familiarità con le tue fattezze, i tuoi tratti e qualche frammento della tua anima.
Questo non è un viaggio qualunque, è un viaggio di breve distanza (geografica), ma di grandi profondità (dello spirito). Nelle mani di un artista si va oltre l’estetica, ci si mette in gioco e si corre anche il rischio di non
piacersi.

“Ambasciatori, cardinali, principi sono pur sempre uomini, per me che devo dipingerli. Hanno tutti un naso, le sopracciglia, il mento” così parlava il Tintoretto, celebre pittore veneziano del 1500, nel libro  La lunga attesa
dell’angelo di Melania Mazzucco.

“La loro bruttezza talvolta mi allarma, perchè non si piaceranno quando consegnerò loro il dipinto, e ciò significa che non mi sarò guadagnato un altro cliente, anzi ne avrò persi almeno dieci”. Nei tempi moderni credo che poco sia cambiato. Ma se non si prendono le proprie insicurezze e difetti troppo sul serio, l’esperienza può essere una piccola magia.

Lui osserva il mio viso attentamente, un po’ come farebbe un entomologo: “Gli occhi e i capelli – mi dice infine- questa la prima cosa che mi ha colpito, e su questi punterò”.

Poi il momento più emozionante, nello studio, nel favoloso disordine. Per lui dipingere sembra facile, naturale, elementare. I suoi strumenti di lavoro scivolano sulla carta e creano senza sforzo. “E’ un dono” affermo. “Chiunque
può riuscirci “mi risponde. Ma io non ci credo. Proverò, ma non ci credo.

La piacevolezza di posare, di sentirsi osservati, protagonisti, divi. Sì, ci si sente anche un po’ divi: il narciso in me gongola, ansioso di vedere cosa succederà su quel pezzo di carta.
Facciamo una pausa, fumiamo una sigaretta, mi mostra il primo schizzo. “Questa sei tu” mi dice contento. E mi porge quella bozza in matita, da cui sorride una donna bellissima. “E’ più bella di me” dico. “Adesso la correggo  – risponde – e poi la coloro. Diventerà più simile all’originale, più autentica, più vera” mi spiega “quando aggiungerò il colore’”.
Non voglio che quella immagine sparisca, non riesco a smettere di guardarla.
Verrà comunque trasformata.

La stesura finale mi piacerà. Forse ancora di più della prima versione: ci sarò veramente io. Con la malinconia nello sguardo, i difetti, le mie verità.
Sarò in qualche modo svelata,  e in qualche modo nascosta, alleggerita, resa più  soave nei tratti, ma più viva nell’essenza. Con una profondità solo mia, che nella prima bozza non traspariva, ma che Paolo Galetto avrebbe colto,
restituendo infine l’anima a chi l’aveva rubata.

Rosita Ferrato

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