La finale femminile di Wimbledon si è giocata nel giorno dell’Aid Kebir, la più importante festa per i musulmani. Ma a Cartagine c’era un bar aperto, con la TV rigorosamente accesa. Gli avventori hanno sostenuto Ons Jabeur fino alla fine. Neanche la sconfitta ha scalfito il loro orgoglio.
Ore 14, è il giorno della finale femminile di Wimbledon. Ma qui è pure il giorno dell’Aid Kebir, la festa del sacrificio: per i musulmani, la più importante festività dell’anno. Di conseguenza, è tutto chiuso: caffè, bar, supermercati. Nel quartiere, ovviamente, è aperto solo il macellaio perché la gente porta la carne dell’alouch, l’agnello, per farsela tagliare.
Nonostante tutto trovo un posticino aperto. È una sorta di bistrot frequentato, a volte, anche dal presidente Kais Saied, che ha la residenza qui vicino. Miracolosamente, lavora anche oggi. I gestori mi sembrano appassionati di tennis e lo si intuisce dalla formazione schierata, già un quarto d’ora prima dell’inizio della partita, con trepidazione, davanti alla tivù.
«Sono venuta per il match» dico, entrando. Tfaddhel, si accomodi, mi rispondono sorridendo.
La finale di Ons Jabeur a Wimbledon è stata un grande evento per tutta la Tunisia
Oggi, per il paese dei gelsomini e per il mondo arabo, è un giorno importante: una tennista tunisina, Ons Jabeur, gioca la finale del più antico e prestigioso torneo del mondo. Gli avventori, piano piano, arrivano. Il caffè si riempie ma è una élite: i più sono impegnati ad arrostire il montone o, forse, a guardarsi la partita da casa. Qui c’è un pubblico giovane, esperto e appassionato, rispettoso e molto partecipativo, che dimostrerà competenza e grande sostegno alla campionessa connazionale.
Si sorseggia caffè, tè, chi si fuma una chicha (il narghilé), chi pranza.
«Yallah Ons Jabeur», che poi è il nostro Alé, grida il cronista quando c’è il primo break in suo favore. È un bel momento di comunione, di speranza e di allegria. Si applaude, si incoraggia con classe e misura, lontani dal tifo scomposto dei tifosi del calcio.
Nei momenti critici del match, quando Rybakina inizia a rimontare, il dibattito nella sala si fa acceso e rivela, con commenti e gesti plastici (diritto e rovescio, smorzata) la competenza del pubblico. Si spera, si gioisce e si soffre ma l’umore in sala, man mano che la partita prosegue, diventa più cupo. La gente è più silenziosa. Sappiamo come è andata a finire. Restiamo tutti fino alla fine, ci avevamo creduto.
«Dommage» è l’unico commento, che peccato. La delusione è palpabile. Peccato, sì, peccato davvero. Ma qui, a Tunisi e non solo, l’amore verso Ons e l’orgoglio per le sue imprese rimangono intatti.
Di Rosita Ferrato per Tennis Magazine 10 luglio 2022
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