Una notte d’estate un grillo… – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Un giorno un collega, l’ottimo Riccardo Marchina, mi ha chiamata parlandomi di un progetto: quello di scrivere, assieme ad altri autori, una antologia di racconti. Il tema: l’amore, un grande classico, ma coniugato con qualcosa di speciale: il mistero, la magia. E non solo: la storia doveva essere ambientata in un bel luogo di villeggiatura.

La proposta mi è subito piaciuta e gli ho detto di sì. Un libro da portare sotto l’ombrellone, da leggersi con la quiete (o meno) della spiaggia, in un momento comunque dell’anno in cui la mente ha bisogno di qualcosa di fresco ma intelligente.

Bene, ottima cosa, non mi restava che farmi venire delle idee. Pensa e ripensa, immaginai subito il luogo. Se misterioso e affascinante doveva essere, non poteva che trattarsi della Sardegna, uno dei miei luoghi d’elezione. Qualche anno fa ci avevo passato delle estati che velocemente (e grazie ai contratti della Rai le cui trasmissioni iniziavano in autunno inoltrato) sconfinavano di parecchi mesi; soprattutto avevo il privilegio di godermi le spiagge e i panorami sardi quando ormai la grande folla se ne era andata (anche se la costa ovest, più aspra e meno frequentata, è sempre stata più al riparo dalle “invasioni ” dei vacanzieri).

L’ambiente dunque doveva essere per forza quello: la provincia di Oristano, una delle parti più misteriose della Sardegna: con i suoi colori intensi, l’acqua ferma e dolce, le distese di spiaggia bianca dai chicchi di riso e di quarzo. Cabras era ancora nel mio cuore, e lo era pure, anche se in un angolo più defilato, un giovane surfista con cui avevo trascorso una bollente e lunga stagione. Assieme a lui avevo scoperto i segreti e le meraviglie di quei luoghi. Jean si chiamava, e aveva il fascino scuro dei giovani locali, la stessa parlata, l’accento, i gusti, e gli stessi occhi scuri.

Nel bed and breakfast che gestiva e dove stavamo, la natura ci inghiottiva; si sentiva fischiare il vento, cantare gli uccelli, il muovere delle fronde pareva rinfrescare l’aria. E gli animali, graziosi o misteriosi: uccelli diurni e notturni, cani e gatti, ma anche rane, pipistrelli, mantidi religiose, gechi e grilli.

Era un luogo romantico e magico, in compagnia, ma inquietante in solitudine, immerso in un silenzio che poteva essere fatato o morente; la magia o l’incubo. In quelle piccole stanze potevi leggervi e sentirci qualunque cosa.

Parto da lì, e da un elemento che c’era e ho ritrovato anni dopo: il canto dei grilli, il canto di un grillo in particolare, una creatura nera e brutta ma dalla voce dirompente. Quei coristi potenti li ho ascoltati a Cabras, e li ho ritrovati ad Hammamet, anni dopo. In un altro luogo, assieme ad un’altra persona.

L’ispirazione successiva è quindi in un presente più vicino: in Tunisia con un uomo diverso da quello incontrato sulle coste sarde anni prima, ma a lui molto simile. Non in un bed and breakfast ma in una dar, un’abitazione dallo stile arabo. Il punto in comune: un grillo. Che una sera entra in casa e ci toglie il sonno, e ci tormenta. Un insetto tanto brutto e lontano dal suo ambiente che canta a squarciagola; una voce, quella della bestiola, che sembrava eterna.

La storia è questa, un grillo trasportato e che trasporta nel tempo e nei luoghi, ma il resto non lo anticipo.

Dirò solo che nel racconto c’è magia, c’è estate, un pizzico di brivido: ci sono tutti gli ingredienti per una bella lettura sotto l’ombrellone.


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