L’artista che dipinge la Medina – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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L’artista che dipinge la Medina

Incontrare il dottor Fouad Taha Mougharbel è un’emozione, che diventa più profonda dopo aver stabilito con lui una connessione. Perché si ha l’impressione che si è capito qualcosa di più, e che un’intervista sia diventata più di una semplice chiacchierata. Fouad non è solo un artista, è una persona con un curriculum ricchissimo: nasce a Medina nel ’51, si laurea in educazione artistica al Cairo, prende un master in educazione artistica negli Stati Uniti, e infine il dottorato in Gran Bretagna. Gli incarichi ricoperti sono innumerevoli: da presidente della facoltà di Educazione Artistica dell’Università di Medina, membro fondatore dell’Associazione degli amici delle Arti Plastiche dei Paesi del Golfo, fino all’oggi che lo vede supervisore presso l’Ufficio Culturale della Reale Ambasciata Saudita in Italia. Vincitore di numerosi premi, ha esposto i suoi quadri in tutto il mondo: Gran Bretagna, Stati Uniti, Egitto, Italia (l’ultima mostra a Roma col patrocinio dell’Isesco), Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Turchia, Uzbekistan, Austria, Francia.
In Italia in questi giorni, amichevole e autorevole insieme, la domanda di rito è: come ha iniziato a dipingere e quando? Fouad Taha Mougharbel inizia a parlare, e racconta della sua ricca vita in modo quasi annoiato, ma improvvisamente si illumina quando gli si chiede del perché ha iniziato a dipingere, e questa è la scintilla che lo porta a rivelarsi come artista. “In ogni quadro c’è un’idea – spiega in inglese – per questo dipingo: ogni quadro ha una sua storia. La gente alle mie esposizioni passa, commenta, dice: che bello! Ma spesso non coglie nulla, si limita alla superficie”. Ma come fare a cogliere l’idea? “Il segreto è soffermarsi, vedere le cose con calma… Le chiedessi in questo istante di che colore è questo tappeto, me lo saprebbe dire…?” D’istinto abbasso gli occhi “Eh, no, senza guardare!” avverte. “No, non saprebbe forse dirmelo. Il problema è che non ci sofferma: su nulla, sui colori, sui fiori, sugli abiti, sulle persone. Andiamo nella vita di tutti i giorni velocemente, e manchiamo le sfumature. Possiamo dire senza grossi dubbi che una rosa è gialla. Ma se la si guarda attentamente si coglie dell’altro, altro rispetto alla semplice definizione di giallo, ovvero quelle sfumature, le diverse nuance, tanti colori, e dobbiamo imparare a vederli”.

Gli chiedo dell’ uso del colore. Il colore in armonia con il suo opposto, le case abbracciate le une con le altre. Il giallo che crea l’arancione unendosi al rosso, i muri delle case che colorate diventano un tutt’uno con la gente e le cose, il giallo e il blu che creano il verde, quadrati di luce sui tetti delle case, un’immaginazione da sogno. Racconta del suo dialogo con la tela: “Ci parlo – spiega – Parlo alla tela ancora bianca, dove vedo i colori, e poi li butto su tela. Ma non so da dove vengano perché è come un’ispirazione che arriva”.

Lo spirito di Fouad Taha Mogharbel si forma nei quartieri, nei vicoli nei cortili di Medina, che emergono come visioni, accumulo di esperienza, sintesi di bellezza; il luogo come ispirazione per l’artista, il patrimonio culturale che si mette su tela. “Il pittore Fouad Mogharbel ci guida verso l’arricchimento dell’arte locale con le sfumature internazionali che lui aggiunge alle caratteristiche dell’antichità – si legge nella brochure che accompagna il suo lavoro – Egli ha saputo inserire il quadro, la città e la gente in finestre in finestre che si espandono per accogliere il sole con tutta la gioia”.

“La ricerca di un’idea è un modo di vivere” afferma. Fouad Taha Mogharbel dipinge la povertà, la carestia, la fame, la guerra, ma il suo interesse principale è la sua città natale, Medina, la città dell’Arabia Saudita dove è sepolto il Profeta. Dipinge la tradizione che si sta perdendo, gli abiti tradizionali, le usanze, come nel quadro in cui la sposa ha due sedie sotto i piedi, per renderla più alta. Dipinge spesso gli edifici della città, fitti fitti, come un tempo: “La politica di oggi è quella di separare le persone. Una volta gli edifici erano vicini, ora sono lontani, non ci si conosce più. Bisognerebbe ritrovare un modo di vita più aperto, di quartiere, dove tutti si conoscono, si aiutano, si sostengono. Dove sia possibile anzi facilitata l’attenzione verso chi ci vive accanto e l’ambiente in cui stiamo, per coglierne le sfumature che ci permettono di capire”.

Il colore, l’ispirazione, la creatività, l’idea, e un vivere la vita in modo differente. Ma da dove si inizia, chiediamo. “Per insegnare ai miei alunni come cogliere i dettagli dell’esistenza e i suoi colori, chiedo loro di raccontarmi la loro giornata. Ho preso l’autobus, mi dicono, il solito percorso per una strada, ho visto degli alberi. E alloro li fermo: che alberi, domando. Di che tipo? Di che colore? E così il giorno dopo loro ci pensano, si soffermano, guardano e sapranno dirmelo”. Un esercizio semplice che introduce ad una dimensione di consapevolezze spesso tralasciate, eppure preziose perché non connesse ai ritmi fagocitanti imposti dal fuori; un esercizio che impone il lento eppur vitale rispetto per i ritmi che alternano la costanza dell’apprendimento e i bagliori dell’intuizione, il buio e il colore che si fanno vita attorno e dentro di noi.

Rosita Ferrato

[fonte Babelmed]

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