TANGERI: tra Europa e Africa – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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TANGERI: tra Europa e Africa

A Tangeri mi sento a casa. Questa città che ho conosciuto in passato vuota, nervosa, difficilmente interpretabile durante il Ramadan, mi è apparsa ora nel suo pieno splendore.

Lo straniero viaggiatore sente ancora nell’aria l’aura magica dei pittori, degli intellettuali, degli scrittori che per generazioni sono arrivati qua, e alcuni non se ne sono più andati.

Mi raccontano che Paul Bowles, il famoso autore del Tè nel deserto, era in realtà prima di tutto un compositore, e quando qualche opera gli veniva commissionata, prendeva qui una casa per sé, distante dalla moglie, dagli amici, si isolava, affittava chissà dove un pianoforte e componeva. Musica occidentale a Tangeri. Chissà chi passava sotto le sue finestre, quale sorta di fascinazione avrà provato…

A Tangeri mi sento a casa. Da qui si vede l’Europa: ci si trova in Africa, ma mai sperduti. L’Andalusia è lì, la si può quasi toccare. E ci sente calati negli anni ’30, viaggiatori occidentali, assieme ad altri viaggiatori occidentali: quasi sempre colti, un po’ snob, solitari. Sono inglesi, francesi, spagnoli, vengono a vedere una parte della loro storia. Li si vede sulle terrazze, nei suq: discreti, attenti, educati, anche loro affascinati.

A Tangeri la Blanche, alloggio all’hotel Continental: come avrebbero forse fatto Agatha Christie, o il suo Poirot, e ritrovo le stesse atmosfere. In un palazzo bianco, che mescola lo stile moresco a quello europeo, sembra di entrare in un’altra epoca: all’interno ci sono tappeti, cuscini, vetrate colorate, mosaici, archi intrecciati, ornati ricchi e raffinati; poi ci si accomoda fuori e si gode la brezza su una terrazza che domina il vecchio porto; ex magione della regina Vittoria, o così almeno racconta il taxista, l’edificio è contemporaneamente sul mare e nel cuore della Medina, è in Marocco, ma guarda il Mediterraneo e lo stretto di Gibilterra.

Tangeri e il Petit Socco, e il Gran Socco, il suq con le sue stoffe, i suoi affari: le mille bancarelle e i negozi, e qualche ambulante curioso, come una signora coperta da capo a piedi che vende pacchetti di fazzoletti (mi dicono che è così velata, con solo gli occhi per vedere, perché si vergogna e non vuole che i vicini non la riconoscano), o come un bambino con un banchetto improvvisato che vende tartarughe e un iguana immobile, che sembra di plastica.
Tangeri e i suoi colori, i suoi profumi, le sue verdure, i dolci del Ramadan, il muezzin, che richiama alla preghiera e tiene compagnia. Tangeri e i suoi gatti, animali felici. E i suoi abitanti: residenti e di passaggio, quasi sempre alla ricerca di un luogo altro, di un rifugio, di un’avventura.
Tangeri la Bianca, porta tra due mondi, crocevia del Mediterraneo; guarda tranquilla dall’alto della sua storia e della sua cultura, l’esperienza antica di popoli vicini che talvolta si scrutano, si mescolano, si urtano, si sovrappongono e giorno dopo giorno inventano un loro alchemico spazio vitale tra le sue strade e le sue case.

Rosita Ferrato

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