Animali urbani – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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Animali urbani

A Tunisi, nei vicoli, ci sono tanti gatti. I gatti sono anche sui tetti, ti arrivano nei piedi nei caffè, e se poi nei ristoranti servono pesce, sicuro ne avrai più di uno che ti guarda speranzoso. Se si ha la fortuna di avere un terrazzo con piante e fiori si potranno incontrare le seguenti specie: ragni; gechi (che a volte dal balcone sconfinano in casa); uccelli e uccellini che volteggiano davanti alle finestre e tengono compagnia, sono rondini, piccoli falchi, colombe, lucherini, passerotti; zanzare, nelle notti in cui il vento si ferma; cani, che abbaiano sotto le finestre quando qualche animale delle case vicine li lascia soli troppo a lungo.

Il grillo di Hammamet

Prima stesura del racconto “L’incatesimo del grillo” pubblicato da ed. Neos per l’atologia “Spirito d’estate – amore e mistero sotto l’obrellone”.

Il grillo di Pinocchio, si sa, era un rompiballe. È innegabile, è così. Però fino a stanotte non avevo capito perché Collodi avesse scelto un animale considerato gradevole e carino per rappresentare la coscienza saggia ma antipatica di Pinocchio.

L’altra notte, nel bagno, ho trovato un insettone marrone: uno scarafaggio, mi sono detta? No, già una volta in Sardegna mi era capitato di vederne uno simile e con mia grande crisi di coscienza l’avevo ammazzato, scambiandolo per qualcun altro. Assomigliava infatti ad uno scarafaggio, quindi l’avevo ingiustamente giustiziato.

Con i sensi di colpa per anni, questa volta mi ero detta: può stare nel bagno della nostra casa di Hammamet. Presa da buonismo animalista, mi sono pure sincerata di essere nel giusto e, cercando su internet una foto dell’insetto, mi sono avvicinata con il telefono in mano al mio ragazzo tunisino.

“Mi raccomando. Se trovi questo tipetto nel bagno, è un grillo. Non lo ammazzare”.

“Ma certo, lo conosco” mi aveva risposto lui con un’alzata di spalle. Aggiungendo: “Come vuoi”.

Dopo aver fatto uscire delicatamente il grillo, entrato evidentemente in casa dalla porta che dava sul giardino, la cosa sembrava fosse finita lì. E invece no. La dār araba ha un cortile centrale da cui si diramano le stanze da letto, i bagni e la cucina. La notte seguente dalla corte alta diversi metri risuonava un canto, amplificato dall’ambiente ampio e riparato.

Che un essere così minuto potesse produrre un suono così forte mi incantava. Un grillo che canta per gli abitanti di una casa: che magia, pensavo, che privilegio!

“Quel bastardo stanotte mi ha svegliato!” ha esordito invece il mio compagno, che la notte prima non era riuscito a chiudere occhio.

“Ma figurati! Bisogna avere un sonno ben leggero per farselo rompere da un canto così dolce. Forse eri nervoso” ho ribadito, lievemente seccata. Avevamo litigato. Forse quel giaciglio improvvisato – il classico divano del salotto – non sarà stato di suo gradimento!

Con questo pensiero, divertita, mi sono coricata, cullata dalla melodia che arrivava, dolce, dal salone centrale.

Ore 5 del mattino circa. Il mio sonno viene interrotto improvvisamente. Il suono è vicinissimo, penetrante, acuto, forte, come una sirena d’allarme. Mi alzo di scatto, le orecchie che fischiano. È lui: il grillo, che si è intrufolato nella mia stanza nottetempo. Il suo canto poetico della sera prima mi è ora insopportabile.

Accendo la luce; non lo vedo, ma so che è vicino. La sua voce è sproporzionata, intollerabile in un ambiente relativamente piccolo: troppo piccolo per tutti e due. Esasperata, impugno la scopa intenzionata, se fosse stato necessario, a ripetere il gesto estremo per la seconda volta.

Spostando freneticamente i mobili, lo trovo. Cugino canterino di uno scarafaggio, il grillo parlante inizia a correre, inseguito dalla furia della mia scopa. Sono riuscita a evitargli il peggio, ma non per compassione, solo perché corre veloce.

Che sia uscito? L’avremmo scoperto la notte seguente. In ogni caso, almeno per il momento, aveva smesso di cantare.

La notte successiva, rincasando, non lo sento. Me ne rallegro con il mio amico, il quale mi dice: “Certo, l’ho sistemato io!”. “L’avrai mica ammazzato?”, domando allarmata.

“Magari” ribatte lui. “Non l’ho fatto solo perché so che ci tieni. Ma l’avrei fatto fuori volentieri. Quell’animaletto è un rompiscatole, e in più mi dà i brividi, sembra che ci segua”.

“Ma figurati! Arriva dal giardino qui fuori, deve essersi perso. Dov’è?”

“In cucina. L’ho sistemato per bene”.

“Intanto andiamo a liberarlo”.

Seccata, mi faccio guidare nel luogo del misfatto, e Tarek mi mostra il buco nel muro dove il grillo è tenuto prigioniero da un pezzo di carta di giornale. È vivo e vegeto, e piuttosto allegro, infatti non appena lo libero, immediatamente riprende a cantare.

“Ecco che ricomincia”, sottolinea il mio ragazzo “sei contenta?”

Lo sono. Tenere una creatura prigioniera è ingiusto, persino quando si tratta di un rompiscatole.

Lo faccio uscire dalla porta che dà sul giardino. Torna a cantare, ma nel verde, nel suo elemento.

Qualche giorno dopo ci dimentichiamo della piccola avventura e la vacanza riprende il suo ritmo. Lento, caldo, agostano. Ci scordiamo dell’amico, che ascoltiamo la sera, in lontananza. E forse è quel suono che mi suggestiona, perché una notte sogno di essere in un grande giardino, seduta sull’erba; come Alice nel Paese delle Meraviglie, mi sento gigante, in un mondo piccolino. Non penso a niente, guardo lontano, ed ecco che appare. L’amico grillo spunta nel verde e mi parla. Come nel Pinocchio di Collodi, la creatura spensierata si trasforma in Grillo Parlante, saggio ma greve, velatamente minaccioso.

“Canterò tutte le notti. E tu non potrai evitarmi.

Canterò per te. E tu non te ne potrai più andare.

Il suono del mio canto sarà la tua follia.

Canterò per te, mia bella donna, e ti porterò nella notte degli incantesimi.

Canterò e non avrai scampo.

Saremo insieme per sempre e per sempre sentirai la mia voce.

Non ti puoi più svegliare, principessa.

Rimarrai con me qui, nel mio piccolo grande mondo.

Per sempre”.

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