A Madrid: tra Prado e Guernica – Rosita Ferrato, giornalista, scrittrice, fotografa
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A Madrid: tra Prado e Guernica

Madrid è una grande città. 3 milioni e passa di abitanti, una metropoli giustamente famosa per la sua gente, le sue bellezze e i suoi musei. Musei che in queste feste, la domenica, sono gratuiti. E come meglio passare un domingo entrando e uscendo da luoghi pieni di incanto, di arte, di meraviglia?

Il Prado è celeberrimo: è ricchissimo e non basterebbero mille pagine per parlarne e descriverne tutte le bellezze. In questa occasione propongo di entrarvi un momento solo, anche solo per ammirare la sorprendente modernità di El Greco (1541- 1614), la cui prima mirata sconvolge il visitatore.  Che immediatamente si chiede: cosa ci fa in questo posto un pittore moderno? I colori, i volti, i santi e il Cristo sembrano infatti trasportati da un’altra epoca, e questo fu l’effetto che fece sui suoi contemporanei, che si chiesero: ma costui è forse matto?

El Greco può piacere o non piacere, ma è sicuramente unico: si esprime con uno stile epressionistico originale, in un incontro tra arte bizantina e occidente che sia oggi che nella sua epoca fece storcere più di qualche naso, salvo incantarne altri senza misura.
Al Prado poi si può rientrare anche per ammirare un capolavoro assoluto: Las Meninas di Velasquez, un quadro dai molteplici livelli che ritrae lo stesso autore insieme ad altri personaggi a vario titolo legati a Filippo IV, e di cui si potrebbe parlare per giorni.
Al Prado si pùò anche tornare per trovare i ritratti dei reali di un tempo, e meraviglie firmate da Goya, Tiziano, Mantegna, Raffaello, Rembrandt, Rubens,… una galleria da far girare la testa…

Ma ci vorrebbe troppo tempo: usciamo dal Prado ed entriamo al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, dove si trova invece Guernica, il capolavoro di Picasso. È il pezzo forte di uesto museo che ospita opere dal ‘900 in poi. Si stima in circa un milione di visitatori all’anno l’appeal di questo capolavoro.
Un quadro sorprendente, che prende il nome da Guernica, la città basca bombardata dagli aeroplani della Legione Condor tedesca durante la guerra civile spagnola il 26 aprile del ’37.

In quel tempo, la Germania di Hitler forniva aiuti ai nazionalisti capeggiati dal generale Francisco Franco, e “approfittò” della situazione per delle prove di guerra: una vera e propria anteprima per quelle tecniche che sarebbero state poi massicciamente impiegate nella Seconda Guerra Mondiale. Nuove armi e tattiche, e un altro tipo  di combattimento, la Guerra Totale, con i bombardamenti concentrati, la terra bruciata, che non risparmiava nessuno, tantomeno i civili. Il bombardamento aereo su Guernica uccise circa 2000 persone in tre ore e mezzo! Un impatto devastante e, per l’epoca, tanto più impressionante.

Nel 1937, Pablo Picasso, pittore già affermato, viveva a Parigi e ricevette l’incarico da parte del governo del Frente Popular (di cui era sostenitore) di decorare il padiglione spagnolo per l’Esposizione mondiale della capitale francese. Inizialmente Picasso aveva in testa un altro lavoro, il cui tema era la libertà dell’arte, ma come la storia insegna, gli eventi cambiarono le cose. Picasso si trasferì in un nuovo atelier in Rue des Grands-Augustins -la stessa strada dove Balzac aveva ambientato la sua novella Chef-d’œuvre inconnu – e mosso dallo sdegno, dall’indignazione e dall’ira, studiò febbrilmente all’opera che terminò in meno di due mesi.
Non si recò a Guernica, ma vide l’orrore raccontati dagli articoli dei giornali, dalle fotografie, che mostravano la città basca rasa al suolo. L’opera nacque in poco tempo, circa due mesi: una grande tela, quasi un murale: 350,5 x 782,3.

La tela rimase a New York al Museum of Modern Art durante l’occupazione nazista di Parigi e non entrò in Spagna fino alla fine della dittatura poiché Picasso si rifiutò di consegnarla finchè Franco fosse al potere. Fu solo nel 1981 che approdò prima a Madrid al Casón del Buen Retiro presso il Prado, e oggi è alMuseo de Reina Sofia, dove ogni giorno, una piccola folla entusiasta si ammassa davanti all’opera, (che non è neanche coperta da un vetro: due senoras piantonano il quadro protetto da un cordone).

E in ogni piccolo gruppo, qualcuno che spiega…
E’ una tela in bianco e nero. Nessun altro colore è presente, se non le sfumature di grigio perchè non si può colorare altrimenti la desolazione di fronte all’ennesimo scempio  procurato dagli uomini ad altri uomini. La prima domanda che ci si pone è se sia ambientato all’interno di un’abitazione o all’esterno: sembrerebbe in un interno, ma ci si confonde, ci sono frammenti di quello che potrebbe essere un tetto, il pomello di una porta, e a sinistra un triangolo, da cui arriva la luce: l’occhio di Dio, probabilmente. Vi è anche una lampada, un altro simbolo, forse della tecnologia moderna, mortale e mortifera.

Sono presenti uomini e bestie: sulla sinistra una mamma disperata con il suo bambino, che probabilmente è morto, un cavallo e un toro; altre figure umane sulla destra, che sembrano esprimere delle urla silenziose. Umani e bestie hanno lingue puntute, forse gridano, chissà. A destra gli umani non possiedono lingua, ma hanno volti pieni di  dolore. Una donna con i seni a punta e incinta, protesa verso la luce, poi una figura geometricamente scomposta domina la parte inferiore della scena. Ogni figura possiede due occhi sul volto, probabilmente i corpi scomposti dal cubismo indicano il movimento, è il tempo riprodotto sulla tela.
Il toro: la brutalità, il fascismo (le interpretazioni tuttavia sono molteplici, c’è anche chi dice che sia l’ego dello stesso Picasso, o il Minotauro. Picasso stesso però ce ne ha fornito un’interpretazione: è la brutalità e l’oscurità); il cavallo: il popolo di Guernica, agonizzante e disperato. Una colomba, sempre a sinistra con solo un’ala bianca di luce, un po’ poco per il simbolo della pace!

A sinistra un corpo straziato dalle fiamme, un cadavere con una stigmate sulla mano sinistra e nella mano destra una spada spezzata.
Guernica rappresenta l’orrore della guerra, la distruzione di un luogo, ma non solo quello che avvenne nella cittadina basca: l’opera ha un valore universale. E negli anni ha rappresentato tante cose: la resistenza al nazismo, poi al regime franchista e al nazionalismo. Unico segno di speranza è un fiore, che sembra sorgere da una spada spezzata. Un monito straziante, un anelito pervicace contro ogni violenza. Purtroppo, ancora attuale. Per fortuna, ancora e sempre forte, coinvolgente, imperioso.

Rosita Ferrato

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